venerdì 12 agosto 2011

Aarakshan: Etniche, religiose, di genere: dove portano le nuove regole


S e ne occupa Bollywood, segno che la questione solleva passioni profonde. Venerdì prossimo, 12 agosto, nei cinema indiani debutterà Aarakshan , film che si annuncia grandioso e il cui titolo si traduce con «quota» o «posto riservato». Sottoindicazione: India vs. India. Per la prima volta, amori, lealtà e amicizie - gli ingredienti sacri del cinema di Bollywood - ruotano attorno al tema delle quote universitarie riservate per legge ai Dalit (quelli che un tempo si chiamavano intoccabili). Dei risultati di questa politica dei posti riservati ai più deboli il film non parla con ammirazione, e in India una serie di gruppi di pressione sta organizzando manifestazioni per boicottarlo. È che il sottotitolo India contro India è del tutto azzeccato: quando si parla di quote, menti e anime vanno in trincea. Il regista del film, Prakash Jha, racconta di sentire sempre più spesso conversazioni del genere: «Andresti da un medico che ha avuto accesso agli studi grazie alle quote?», domanda un bramino, cioè un membro della casta più alta; «Andresti da un medico di una casta elevata che è stato ammesso non grazie alle quote ma perché si è comprato il posto?», ribatte un derelitto. È un modo di ragionare che non porta nessuno dal medico, ma in compenso scatena proteste anche violente. L' India ha la specialità di alzare i toni su temi che riguardano divisioni di religione e di casta, e ha lobby formidabili che sostengono gruppi e diritti in conflitto. Ma non è l' unica: mezzo mondo discute e si scontra sulla cosiddetta «Affirmative Action», l' azione proattiva attraverso la quale una legge stabilisce certi privilegi e diritti, in particolare quote di accesso alle università o ai posti di lavoro, per gruppi sociali ritenuti svantaggiati storicamente. Anche negli Stati Uniti, in Canada, in Sudafrica il tono del dibattito è accalorato. In Europa è meno acceso ma non manca - in particolare sulle quote riservate alle donne - e soprattutto ci si può aspettare che anche nelle società del Vecchio Continente, sempre meno omogenee per etnia e cultura, le domande di «Affirmative Action» crescano nel tempo. In gioco non ci sono semplicemente politiche sociali, ma per molti versi diritti fondati sull' identità e l' appartenenza, che in molti casi si scontrano con il tradizionale principio di uguaglianza individuale di fronte alla legge, punto forte dell' Occidente. È il Noi che si contrappone all' Io, tanto più in società multiculturali. In India, è la Costituzione del 1950 a prevedere che il 22,5 per cento dei posti di lavoro pubblici e degli accessi all' università vadano alle comunità di intoccabili, Dalit e altri gruppi tribali che la passata divisione in caste ha condannato per millenni all' ignoranza e ai lavori più umili (famosi i pulitori di latrine, occupazione ereditaria). La regola non ha provocato tensioni particolari per anni. Quando, nel 1990, il governo di Delhi ha però deciso di portare la quota al 49,5 per cento, per fare posto ai membri di altre comunità penalizzate dal passato, sono scoppiate proteste di piazza, alcuni giovani di caste elevate si sono suicidati: l' applicazione delle nuove quote nell' università è rallentata, ma solo fino al 2008, allorché è stata dichiarata legittima dalla Corte costituzionale, tra proteste, scioperi, previsioni di catastrofi per il sistema universitario indiano. Si distrugge un sistema meritocratico e si calpesta l' idea di parità dei diritti individuali davanti alla legge - dicono i critici del sistema delle quote - a vantaggio di chi non è detto abbia pari qualità e pari desiderio di studiare e lavorare. «Mi stai facendo una lezione sul lavoro? - risponde indignato il Dalit protagonista del film di Bollywood a un insegnante bramino - Noi abbiamo zappato i vostri campi, seminato i vostri raccolti, pulito i vostri scarichi, persino trasportato i vostri escrementi sulla testa, e ora tu m' insegni cos' è il lavoro?». Revanscismi contro difesa di antichi privilegi, desiderio di sanare mali passati correndo il rischio di riproporne di nuovi, comunitarismo contro diritto individuale di cittadinanza, ingegneria sociale opposta alla competizione. Negli Stati Uniti, gli scontri e le grandi discussioni sui meriti e sui torti dell' «Affirmative Action» sono infuocati ancora trent' anni dopo l' inizio di queste politiche. Nelle scorse poche settimane estive, per dire, giudici, governatori e politici di California, Michigan e Texas si sono impegnati in alcuni casi che riguardano l' ammissibilità o meno di preferenze razziali ed etniche nelle ammissioni degli studenti alle università pubbliche. Il caso più discusso e politicamente roboante è stato però quello di Sonia Sotomayor, una giudice nominata dal presidente Barack Obama alla Corte Suprema. In discussione un suo giudizio su una vicenda anche qui dirompente. Un gruppo di vigili del fuoco di New Haven sostenne un test per essere promosso in carriera. Vinsero alcuni pompieri, tutti bianchi: tra loro non c' era nemmeno un nero. Per timore d' essere citata in tribunale per discriminazione razziale, l' amministrazione cittadina annullò il concorso. I vincitori, ovviamente, fecero causa e la signora Sotomayor, allora giudice d' appello, diede loro torto. Oggi - in tempo di amministrazione Obama, quasi cinquant' anni dopo il «Civil Rights Act» del 1964 che mise fuori legge la discriminazione contro la popolazione di colore e contro le donne - il caso Sotomayor ha riacceso il dibattito sulla necessità di tornare alla neutralità razziale nelle università e sul lavoro, cioè di azzerare le politiche di «Affirmative Action»: sin dall' inizio era inteso che sarebbero state temporanee (invece sono diventate permanenti), in più hanno fomentato la moltiplicazione di lobby nazionali e locali che, come in India, prosperano sulla difesa del privilegio razziale, etnico, culturale, in genere identitario. Dall' altra parte, però, si affacciano sul mercato delle quote altri gruppi sociali con nuove richieste, per esempio la comunità gay della California. In Canada, il primo ministro Stephen Harper promise qualche anno fa di impegnarsi contro «i programmi di pesca razzialmente orientati», cioè contro i vantaggi spesso accordati ai pescatori di tribù native a scapito degli altri. Da allora ci ha provato, ma con poco successo. Il governo, ad esempio, ha sostenuto che la pesca commerciale in Canada è iniziata solo dopo l' arrivo dell' uomo bianco, quindi gli indiani originari di quelle terre non avrebbero diritto a nessun privilegio in quanto non defraudati. Alcune tribù della British Columbia, del popolo dei Lax Kw' alaams, hanno però bloccato tutto e portato il caso nei tribunali, dove per ora resta. In Sud Africa, misure di preferenza razziale sono state introdotte dal 1994, soprattutto nella legislazione sul lavoro, per contrastare le devastazioni sociali dell' apartheid (forse il maggiore caso di «Affirmative Action» di tipo universale mai realizzato, in quel caso per privilegiare i privilegiati e annichilire i neri) ma con risultati contraddittori: i costi per le imprese sono saliti, l' efficienza è calata, ne hanno tratto benefici alcune fasce sociali nere a reddito medio, ma ne sono risultate svantaggiate quelle più povere. Al punto che la Corte costituzionale è intervenuta e ha consigliato di ricorrere alla magia: la popolazione nera - ha stabilito - deve essere avvantaggiata, ma quella bianca non deve essere svantaggiata. In effetti, tenere assieme i diritti identitari e i diritti civili dell' individuo richiede doti speciali in qualsiasi continente, ricco o povero, America, Asia o Africa. Lo sperimenterà quasi certamente anche l' Europa in un futuro vicino, quando le richieste di «Affirmative Action» cresceranno, assieme al carattere multiculturale del continente. Visione consigliata al cinema, dunque, da Roma a Berlino: Aarakshan , Made in Bollywood, dove in fatto di quote la sanno lunga. RIPRODUZIONE RISERVATA **** Biblioteca Il problema delle quote rosa in Italia è affrontato da Monica D' Ascenzo («Fatti più in là. Donne al vertice delle aziende: le quote rosa nei Cda», Carocci); Federica Di Sarcina («L' Europa delle donne. La politica di pari opportunità nella integrazione europea», Il Mulino); Lessia Donà («Le pari opportunità. Condizione femminile in Italia e integrazione europea», Laterza). Da segnalare Terry Anderson («The Pursuit of Fairness: A History of Affirmative Action», Oxford University Press); J. Edward Kellough («Understanding Affirmative Action», Georgetown U. P.); Zoya Hasan («Politics of Inclusion: Caste, Minority and Affirmative Action»

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